Poiché (escludendo l’impatto dei cambi e del rischio) il tasso di interesse è dato dalla somma del tasso di inflazione atteso + ciò che mi paghi per l’uso del denaro, succede che:
– se il tasso di inflazione è negativo (ad esempio -2%)
– e supera il rendimento per l’uso del denaro (ad esempio + 1,5%)
– io che ti presto dei soldi alla fine dell’anno avrò un interesse negativo (-0,5%).
Questo caso mi ha sempre incuriosito quando studiavo finanza aziendale, tant’è che era quasi considerato un caso academico. Fatalità il paradosso è diventato realtà: già ora le banche si prestano fra di loro il denaro a tassi negativi perché conviene di più pagare un interesse per tenere parcheggiato il contante in un posto sicuro piuttosto che prestarlo ai privati e alle imprese.
Ma se il denaro si rivaluta non va certo meglio per chi ha contratto un prestito, perché alla scadenza si trova a restituire un importo “reale” più alto rispetto a quando lo aveva chiesto. Infatti in periodo di deflazione risultano svantaggiati i debitori, soprattutto quando la tendenza è al ribasso perché i tassi di interesse, teoricamente negativi, difficilmente diminuendo compensano il debitore dell’aumento di “peso” del debito. Viceversa con l’inflazione crescente i tassi di interesse spesso rincorrono gli aumenti attesi e favoriscono il creditore che vede svalutato il suo debito. Come ho già detto, è tutto perfetto solo in un mondo statistico. In un mondo in movimento c’è sempre una parte che viene penalizzata perché il sistema non è in grado di adeguarsi velocemente ai cambiamenti. E di solito le banche sono favorite perché sono più veloci ad adeguare i tassi rispetto al contesto economico, soprattutto se è a loro vantaggio.
Questo è solo uno degli strani effetti della deflazione, perché altre distorsioni si hanno per tutti quei rapporti che sono indicizzati rispetto alla variazione dei prezzi, quindi diminuiscono gli affitti, le pensioni e i salari per compensare l’aumento del potere di acquisto. Però tanti di noi, io per prima, fanno ancora fatica a ragionare “al contrario”. E poi se vai a fare il pieno di benzina te ne accorgi eccome che i prezzi sono scesi, ma se vai a fare la spesa in realtà sembra che i prezzi continuino a salire. Perché?
Perchè la rilevazione della variazione dei prezzi dipende dai beni che sono inseriti nel paniere ISTAT. L’ISTAT è l’istituto che monitora l’andamento dei prezzi di un certo numero di beni detto paniere. Solo che il paniere è un tantino anacronistico e si adegua sempre in ritardo ai cambiamenti sociali (ad esempio fino a qualche anno fa c’erano ancora i fiammiferi), e soprattutto è uguale per tutte le categorie di cittadini, senza fare distinzione tra una persona anziana, una coppia con figli e un giovane “single” che hanno abitudini di consumo completamente diverse.
Per questi e altri difettucci molti non considerano reale la variazione dei prezzi ISTAT e ricalcolano l’indice in base ad altri criteri. Ma che sia più o meno preciso sta di fatto che la tendenza in atto è questa: oggi aumenta il valore del denaro, e questo avvantaggia i creditori e la finanza, quindi chi ha già disponibilità di denaro, mentre sono svantaggiati i debitori e le imprese, che rimangono ferme al palo.
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