Una delle cose che abbiamo capito nel 2020 è che a causa dei danni che stiamo causando all’ambiente la pandemia non può più essere considerata un “cigno nero”.
Se prima pensavamo fosse un avvenimento imprevedibile e non considerabile nelle valutazioni, ora ci rendiamo conto che è un evento possibile del quale dobbiamo misurare l’impatto.
In poche parole d’ora in poi dobbiamo iniziare a considerare il rischio pandemico come uno dei possibili rischi che può capitare nella vita delle persone e delle aziende.
QUALI PANDEMIE POSSONO CAPITARE?
Innanzitutto bisogna avere chiaro quali tipologie di pandemie o epidemie possono verificarsi, dovute a quali agenti patogeni, che tipo di organi potrebbero colpire e quali sono i possibili impatti sulle vite umane e sui settori economici.
Gli attuali piani pandemici si concentrano sulle malattie influenzali, tuttavia nella storia ci sono state anche pandemie di colera, di tifo e di peste.
Il Coronavirus si trasmette per le vie respiratorie e comporta come forma di protezione tramite il distanziamento sociale con mascherina. Ma altre pandemie o epidemie possono colpire le vie gastrointestinali richiedendo altri accorgimenti, come ad esempio una particolare attenzione all’acqua o agli alimenti che si ingeriscono. Oppure potrebbero verificarsi eventi catastrofici dovuti a funghi che si trasmettono toccando le superfici infette.
Pertanto tutti i veicoli e le modalità di infezione andrebbero valutate attentamente sia dallo Stato, sia dalle aziende, sia dalle persone.
IL TASSO DI RISCHIO PANDEMICO E I DVR AZIENDALI
I documenti per la valutazione del rischio aziendale prevedono la casistica del rischio biologico fra i rischi professionali. Di fronte al Coronavirus la legge ha sancito il suo inserimento fra gli agenti biologici che possono causare malattie infettive al lavoratore.
Il rischio biologico da Coronavirus è ritenuto rischio professionale per coloro che svolgono una mansione che determina l’aumento del rischio rispetto al resto della popolazione, come ad esempio chi lavora in ambiente sanitario.
Ma in realtà anche le cassiere e tutti coloro che lavorano a stretto contatto con il pubblico hanno un rischio maggiore di contrarre un’infezione. Mi aspetto pertanto che nei prossimi mesi si facciano riflessioni più approfondite sui rischi biologici comprendendo tutti i possibili rischi pandemici in tutti i luoghi di lavoro.
IL TASSO DI RISCHIO PANDEMICO NEI CONTRATTI
Davanti ad una pandemia non eravamo preparati neanche a livello di clausole contrattuali e gli avvocati hanno avuto il loro bel daffare a rinegoziarli appellandosi alle possibili interpretazione che li rendevano nulli o annullabili. E’ evidente che d’ora in poi non ci si potrà più appellare alla causa di forza maggiore in caso di pandemia ma andranno riscritte specifiche clausole, in particolare per le polizze assicurative.
Mi aspetto però che l’adeguamento dei contratti preveda anche l’invasione da parte degli alieni e il ritorno dei dinosauri ora che abbiamo capito che non esiste l’inimmaginabile e che è bene essere preparati anche da eventi imprevedibili.
IL TASSO DI RISCHIO PANDEMICO NELLA RENDICONTAZIONE
Conseguentemente a quanto detto sopra le aziende dovrebbero indicare nella relazione sulla gestione nella sezione dedicata ai “principali rischi ed incertezze a cui la società esposta” anche l’esposizione al tasso di rischio pandemico. Al momento la legge non lo prevede ma non è da escludere che in futuro si diano indicazioni che spingano le aziende a tenerne conto.
Ancora di più per quel che riguarda la rendicontazione relativa al rischio ESG (Environmental, Social, Governance) relativa ad ambiente, società e governance, alla quale andrebbe aggiunta la lettera H (Health) per includere i rischi legati alle pandemie.
IL TASSO DI RISCHIO PANDEMICO NELLA SCELTA DI UN LAVORO
Se prima sceglievamo un lavoro tenendo conto delle nostre attitudini o dell’offerta del mercato, d’ora in poi dovremmo iniziare a considerare anche il “rischio pandemia”.
I settori della ristorazione, del turismo e dello spettacolo sono stati quelli più colpiti dalle chiusure imposte dal Coronavirus per le loro caratteristiche di promiscuità sociale. Immagino che per questo motivo saranno sempre quelli più colpiti da ogni tipo di pandemia.
Forse per questi settori bisognerebbe ragionare come in agricoltura. Il settore agricolo è un settore maggiormente esposto ai rischi legati agli agenti atmosferici contro i quali vengono stipulati appositi contratti assicurativi e sono previste delle agevolazioni fiscali da parte dello Stato.
Per i settori “ad altro rischio pandemico” bisognerebbe pensare a degli automatismi che tutelino gli imprenditori e dipendenti in caso di pandemia per evitare che siano costretti a scendere in piazza a protestare per rivendicare le proprie ragioni come sta accadendo in questi giorni.
Vorrei concludere dicendo che i suddetti settori sono stati chiusi anche perché ritenuti “non essenziali” per la sopravvivenza. Ma siccome l’umano è un animale sociale a volte il superfluo può diventare più importante del necessario.
Dobbiamo pertanto iniziare a considerare modi alternativi per mantenere i contatti fisici fra le persone anche in caso di avversità per evitare la disaggregazione sociale che ci salverà dai virus ma che poi ci farà ammalare di solitudine e di inedia.
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