Si può essere un paese sostenibile nel lungo periodo anche senza fare figli? Cinque obiezioni per chi pensa che non sia possibile.
PREMESSA
L’invecchiamento della popolazione, in Italia e in diversi paesi del mondo, sta preoccupando scienziati ed economisti.
Continuamente ci sentiamo ripetere che la popolazione in Italia è in calo, che le morti superano le nascite, che stiamo invecchiando e fra qualche anno non avremo più chi ci paga le pensioni e chi ci assiste.
Eppure la popolazione nel mondo cresce ad un ritmo vertiginoso. Oggi siamo 8 miliardi e le stime prevedono che nel 2050 saremo circa 10 miliardi.
Perché allora è così importante fare figli in Italia?
L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE
In Italia il trend demografico segnala un calo costante della popolazione e un aumento contemporaneo dell’età media degli italiani.
L’Italia e il Giappone hanno la popolazione più vecchia al mondo ed è già da un po’ di tempo che si interrogano su quale potrà essere il proprio futuro.
In Europa le migrazioni non riescono a mitigare il costante calo demografico e i decessi superano le nascite in molti paesi. L’Italia è uno dei paesi meno fecondi insieme a Spagna e Malta con meno di 1,3 figli per coppia e con il più basso tasso di natalità dell’Unione Europea.
Anche la Cina, che fino a qualche anno fa attuava la politica del figlio unico come strumento per frenare le nascite, oggi sta facendo i conti con l’invecchiamento della popolazione e con le conseguenze che ne derivano.
IL PIL DEMOGRAFICO E LA RICCHEZZA DI UNA NAZIONE
L’invecchiamento della popolazione peserà come un macigno sul PIL italiano destinato a perdere nei prossimi cinquant’anni un terzo del proprio valore: nel 2070 il valore attuale di 1.800 miliardi di euro perderà circa 500 miliardi. (mettere link)
L’ISTAT ha coniato un indicatore che mette in evidenza il legame fra il numero degli abitanti ed il PIL. E’ il PIL demografico che tiene conto della composizione demografica della popolazione e si basa sull’ipotesi che la composizione demografica della popolazione influenzi la produzione economica di una nazione e quindi il suo PIL.
Si tratta di una provocazione scaturita dall’idea di poter attribuire ad ogni evento demografico (come la nascita) capace di generare anni-vita in futuro il significato di produttore di un bene il cui valore, per l’appunto, si esprime e si misura in termini di anni creati.
Tuttavia, il PIL demografico ha le stesse limitazioni del PIL nel misurare il benessere economico, poiché non tiene conto di molti altri fattori come la distribuzione del reddito e la qualità della vita.
LA TEORIA MERCANTILISTA E LA RIPRODUZIONE DELLA FORZA LAVORO
L’idea che la ricchezza di una nazione dipenda dal numero dei suoi abitanti fonda le radici nella teoria mercantilista del 1600-1700. A seguito del calo della popolazione per le epidemie ricorrenti dalla metà del 1500 secolo si diffuse la convinzione che il numero dei cittadini determinava la ricchezza di una nazione.
Nacque così il mercantilismo, la politica economica secondo la quale la prosperità di una nazione è proporzionale alla quantità di denaro e di lavoratori disponibili. A quei tempi però il basso livello di sviluppo tecnologico faceva degli uomini la principale risorsa produttiva.
PRIMA OBIEZIONE: LA DIGITALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA
Una delle prime obiezioni che si può muovere al legame fra popolazione e ricchezza nel XXI secolo è che con la digitalizzazione dell’economia e con l’avvento dei robot ci sarà sempre meno bisogno di umani.
Si perderanno molti posti di lavoro legati ad alcune professioni, molti altri si creeranno ma probabilmente tante persone saranno inattive e superflue per il sistema (vedi “Homo Deus” di Harari)
Se questa è la prospettiva dobbiamo domandarci se è veramente necessario “mettere al monto nuovi umani” per il benessere e lo sviluppo di una nazione.
L’INVERNO DEMOGRAFICO SARA’ VERAMENTE INVERNO? 4 OBIEZIONI
Oltre alla perdita del PIL l’“inverno demografico” in Italia porterà criticità nelle seguenti aree:
- Welfare
- Assistenza
- Spopolamento di alcune zone geografiche
- Mancanza di vitalità
Qualche voce sta iniziando a sollevarsi sull’idea di smetter di inseguire l’aumento della popolazione e iniziare a ragionare anche su come organizzare una società che sta invecchiando. Quindi:
1 Le pensioni, con il metodo contributivo, verranno pagate dagli stessi contribuenti. Va facilitata la continuazione del lavoro e l’apporto al benessere collettivo delle persone ancora in forza, con forme di lavoro più flessibili in uscita. Va incentivato il lavoro femminile. Piuttosto che stare a casa ad occuparsi di nuovi nati che devono far crescere il PIL le donne potrebbero contribuire direttamente al PIL lavorando.
2 Va incentivata la telemedicina e l’utilizzo di robot per l’assistenza ad anziani e persone non autosufficienti attraverso un approccio meno informale e più strutturato.
3 Vanno fatte delle politiche per incentivare il trasferimento in alcune zone del paese, realizzando investimenti e progetti che le rendano nuovamente attrattive per le imprese e per le persone.
4 Per quel che riguarda la perdita di vitalità e lo slancio innovativo della popolazione giovane, la terza età sta cambiando.
L’età dell’anzianità è stata spostata dai 65 ai 75 anni. Siamo anagraficamente più vecchi ma più in forma fisicamente. Se non veniamo spremuti come limoni nell’età lavorativa per poi essere parcheggiati quando usciamo dal ciclo produttivo possiamo mantenere la spinta vitale più a lungo.
La capacità di innovazione è legata all’età ma anche alla cultura e agli stili di vita. E possiamo contribuire alla crescita del PIL anche in età avanzata, come dimostra la “silver economy”, l’economia legata alle persone con i capelli bianchi, che sta diventando una risorsa sempre più importante per il sistema economico.
GESTIRE IL TRAGHETTAMENTO VERSO UNA SOCIETA’ PIU’ MATURA
Oltre a parlare di politiche per la natalità e per l’immigrazione sarebbe opportuno iniziare a ragionare su come costruire un mondo a misura di persone anziane.
Siamo troppi su questo pianeta ma non nasciamo distribuiti come farebbe comodo a noi. Facciamocene una ragione e iniziamo a mettere in pista una lettura complessiva delle sfide che ci attendono.
Invece nel dibattito pubblico non prende ancora spazio una teoria che analizzi gli interventi complessivamente. Ma si fa prima a dire “facciamo più figli” come se fosse la soluzione di tutti i problemi che invece sono molteplici e vanno affrontati da più punti di vista.
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