Credo che nell’infanzia di molti, se non di tutti, ci sia la memoria di uno zio, di un parente, di un cugino “discusso” e criticato in famiglia per le proprie abitudini finanziarie.
Dissipatori di eredità o avari sino al midollo hanno abitato i racconti di molte generazioni con storie vere o leggende metropolitane che accendevano i pranzi famigliari.
Io ad esempio avevo uno zio molto biasimato dai miei genitori perché non spendeva soldi per comprare un caffè: se andava al bar con la moglie prendevano un caffè in due, suscitando l’ilarità di tutto il parentado, e a metà mattinata si assentava dal suo bel impiego pubblico per andare a prendere il caffè a casa. Ma sei trattava di andare in ferie, ad esempio di fare una bella crociera, i soldi per le vacanze saltavano sempre fuori.
A casa mia invece non c’era alcun interesse a spendere fuori dalla Romagna, dove invece si sborsavano senza queste eccessive attenzioni lire o euro in pranzi al ristorante o per un ristoro al bar. Quindi queste abitudini così diverse dalle nostre erano fortemente criticate e tacciate di avarizia.
Crescendo mi sono resa conto che il rapporto fra le persone e il denaro può essere molto variegato. Ci sono i tirchi per scelta di vita e i prodighi ad oltranza. In entrambi i casi credo che sia un atteggiamento che ha delle implicazioni psicologiche che si sfogano sul denaro ma che hanno un’altra origine, per cui non è di loro che vorrei parlare.
Vorrei parlare invece tutto il mondo che sta nel mezzo, ovvero di coloro che hanno gusti e abitudini di spesa fra i più disparati e in apparente contrasto fra di loro.
Sempre attingendo dalla mia infanzia mi ricordo che ascoltavo con orrore le storie di coloro che andavano a comprare vestiti alla moda nei negozi di abbigliamento o dal bottegaio sotto casa e poi “segnavano”, cioè compravano a credito durante il mese e poi quando prendevano lo stipendio andavano a saldare i propri debiti. Ora con le carte di credito non c’è più bisogno di affidarsi al negoziante di fiducia per i propri acquisti, ma io, pur bambina, proprio non riuscivo a capire come mai queste persone si erano infilate in un loop infernale quando ai miei occhi bastava tirare la cinghia per un mese per riuscire a spezzarlo. Non potevo ancora capire che il problema nasceva dalla testa più che dal portafoglio.
Da più grande ci rimasi malissimo quando ho scoperto che una mia cara amica aveva venduto i regali d’oro della Prima Comunione per pagarsi una vacanza estiva, con la paura che la mamma se ne accorgesse. Era così indispensabile quella vacanza? Perché fare un gesto del genere? Proprio non capivo come ci si potesse indebitare per andare in ferie, io che le ferie a quel tempo non le avevo ancora fatte ma che stavo bene lo stesso. Ora, con qualche anno in più, devo dire che comprendo maggiormente il desiderio di uno svago che aiuta a sopportare una quotidianità non brillante. Certo è che molti quando si tratta di andare in ferie (e non solo) fanno “il passo più lungo della gamba” e lo fanno spesso per una questione di facciata o per incapacità manifesta di gestire le proprie entrate.
Che dire poi di quelli che quando hanno due lire comprano qualcosa per la casa, magari si trovano 2.000€ in banca e comprano un materasso da 2.000€, quando potevano spendere tranquillamente di meno acquistando comunque un buon prodotto? Ricordo ancora una parente non proprio abbiente che fece una campagna estiva al magazzino della frutta per pagarsi una cucina da 20 milioni. Sarà che l’arredamento non è mai stato in cima alle mie priorità di acquisto ma questo comportamento che riscontro spessissimo ruotare intorno alla casa fatico sempre a comprenderlo.
Tuttavia è un dato di fatto che a tutti noi non piacciono le stesse cose. Il valore che diamo ad un prodotto o a un servizio è molto soggettivo e spesso prescinde dal prezzo. Per quello che ci piace siamo disposti a spendere, anche a costo di qualche sacrificio che agli occhi di un altro può risultare incomprensibile, mentre sul resto siamo disposti a tirare la cinghia.
La crisi poi ha acuito questo atteggiamento e si sta diffondendo quella che i sociologi chiamano “neo sobrietà”, ovvero si risparmia su alcune cose mentre si spende di più in altri beni che hanno un maggiore valore aggiunto, spesso solo emotivo.
Io però preferisco e perseguo l’atteggiamento mentale che porta a spendere il denaro in proporzione a quanto se ne ha, con un certo equilibrio e risparmiando anche qualche cosa.
Dentro questo perimetro “De gustibus non est disputandum” dicevano i latini.
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