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Cum Grano Salis

Riflessioni di una Contabile su temi Economici e Finanziari di MONICA VITALI

L’IMPRENDITORE QUANTO DEVE ESSERE CONTABILE?

Imprenditore contabile

 

Ho la fortuna di lavorare per un imprenditore che viene dall’ambito contabile, che parla la mia stessa lingua e con il quale ci capiamo al volo.

Personalmente lo ritengo un grande vantaggio perché in precedenza ho lavorato per un imprenditore visionario con un’alta propensione all’attività commerciale, un pioniere nel suo settore, ma che poi ha dovuto vendere la sua attività all’imprenditore contabile perché si è affogato nei costi di gestione.

Quanto è importante che un imprenditore possegga le doti di capire, comprendere e padroneggiare “i conti” dell’azienda? Per quello che vedo io moltissimo. Chi possiede questa abilità ha veramente una marcia in più perché riesce a conoscere il proprio business in profondità.

E chi non ce l’ha? Deve trovare qualcuno di sua fiducia che ce l’abbia al posto suo.

Ma deve trattarsi di una persona che tenga all’azienda quanto lui, perché se si affida ad un manager mercenario corre il rischio che l’orizzonte temporale di riferimento sia troppo breve e che la persona guardi soprattutto al proprio interesse. Molto meglio quindi un dipendente/dirigente di lungo corso con il quale abbia instaurato un livello di fiducia totale, possibilmente che non sia il ragioniere compiacente che tiene la contabilità del nero e che lo rende ricattabile.

Se è una persona di famiglia tanto meglio, ma attenzione perché spesso quando ci sono di mezzo i parenti si finisce per perdere di vista l’obiettività, quindi secondo me è preferibile un dipendente fedele o, ancor meglio, un socio che bilanci questa carenza ma con il quale si vada d’amore e d’accordo più che con il proprio partner.

Se l’azienda è molto piccola può andare bene anche un consulente ma, diciamoci la verità, quanti sono i consulenti in grado veramente di consigliare l’imprenditore? Non solo per le carenze che fisiologicamente ha chi non vive dentro l’azienda, ma anche e soprattutto per la presunzione che spesso accompagna chi “si è fatto da sé” e che crede che basti saper fare 2+2 per capire l’andamento dell’impresa come se fossimo rimasti ancora ai tempi del baratto. Che poi si deve arrivare a leggi come quella sulla crisi d’impresa per mettere una pezza d’appoggio “dall’esterno” a quella che secondo me dovrebbe essere una caratteristica intrinseca dell’imprenditore.

Perché, signori miei, sono ancora i bilanci e il loro codazzo di indici e indicatori vari a misurare la febbre di un’attività. E i conti bisogna saperli fare, non soltanto con la penna su un foglio di carta gialla, ma con qualche strumento più evoluto che tenga il passo con una realtà sempre più complessa come quella attuale.

 

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