No, il controller non è ANCHE un comunicatore, il controller è SOPRATTUTTO un comunicatore. Non basta essere abili contabili, esperti informatici, guru della finanza se poi i report che si presentano non li capisce nessuno.
Se questo era valido una volta oggi lo è ancora di più, perché abbiamo cervelli interconnessi e bombardati da miliardi di informazioni e il plusvalore del controller è proprio quello di stanare i dati importanti e infiocchettarli in modo che i “clienti” (interni o esterni) siano in grado di capirli con un colpo d’occhio.
Sembra scontato ma non lo è affatto. Fare del buon reporting è una vera e propria arte. Quanti controller si masturbano producendo grafici bellissimi, colorati e pieni di orpelli che decantano in ogni dove, e poi neanche Leonardo Da Vinci riuscirebbe ad interpretarli perché non sono chiari, sono prolissi o semplicemente sono inutili?
Poiché con gli odierni strumenti informatici l’utilizzo della grafica a volte sfugge di mano, è opportuno:
– non utilizzare più di 3-4 colori per volta per non rischiare l’effetto patchwork;
– ricordare che se in una tabella o in un grafico inseriamo più di 5 elementi, un lettore con una mente poco quantitativa (cioè la maggior parte delle persone che non fanno i contabili) si perderà dopo pochi istanti. Allora dopo i 5 elementi meglio aggiungere un generico “altro” che riporta tutto ciò che non viene rappresentato esplicitamente;
– ricordarsi che “LESS IS MORE”, quindi dopo aver elaborato lo schema più opportuno, iniziare a limare tutto il possibile. Chi usa Twitter e i malefici 140 caratteri sa a cosa mi riferisco. Si può togliere, magari con qualche modifica, sempre di più di quello che ci si immagina. L’importante è che le informazioni siano sintetizzate sino all’essenza;
– fare “la prova del 9”, chiedendo consiglio ad “occhi vergini” che ci diano un riscontro sulla leggibilità dei dati;
– arginare le richieste di chi vorrebbe aggiungere colonne su colonne, e che poi nel tempo non si ricorda neanche più quello che ha chiesto e perché. E allora bisogna risalire ad Adamo ed Eva per ricostruire una formula o una parentesi, perché spesso, ahimè, ci fidiamo talmente tanto della nostra memoria e della nostra capacità di analisi che non lasciamo note su come siamo arrivati ad un determinato passaggio o risultato.
Quindi per fare un buon report bisogna essere fini analisti, ma anche abili negoziatori, perché a volte chi ha “più peso” di noi potrebbe focalizzarsi sul richiedere il dato inutile anziché quello essenziale. Quindi bisogna essere in grado di negoziare e “comunicare” le nostre motivazioniche ci inducono a preferire una certa reportistica piuttosto che un’altra. Insomma, o fai lo YES MAN e leghi sempre l’asino come lo vuole il padrone, oppure devi diventare un po’ commerciale se vuoi produrre qualcosa che abbia un senso e che ti renda fiero di te stesso anche nel tempo.
Alla fine l’obiettivo di un report non è quello di massimizzare la gioia di chi lo produce, né di soddisfare le trippe mentali di tutti quelli che vorrebbero aggiungere un pezzettino che serve solo a loro. Un report deve massimizzare i contenuti informativi riducendo la ridondanza e l’incomprensibilità. E soprattutto deve generare un informazione “utile” che per essere tale deve arrivare in modo fruibile ai manager che la devono utilizzare. Altrimenti è fuffa.
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