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Cum Grano Salis

Riflessioni di una Contabile su temi Economici e Finanziari di MONICA VITALI

I MANAGER DI SUCCESSO SONO MALATI MENTALI?

I MANAGER DI SUCCESSO SONO MALATI MENTALI
Non c’è ombra di dubbio che chi arriva ai vertici di un’azienda oltre alle capacità tecniche deve avere delle caratteristiche che sono indissolubilmente legate al proprio carattere.
 
Ingenuamente in gioventù pensavo che queste caratteristiche fossero un pregio, visto che permettevano di arrivare così tanto in alto nella scala gerarchica. Cresciuta negli anni dello yuppismo, degli status symbol, delle giacche con le spalline e di Gordon Gekko, frequentavo economia e commercio quanto essere spregiudicati, arrivisti e in carriera era considerato quasi un valore.
 
Oggi invece scopro che, in base ad alcune ricerche fatte da psicologi e criminologi, questi manager di successo, che in realtà spesso sono narcisi, machiavellici e manipolatori, tecnicamente sono degli “psicopatici di successo”.
 
Gli psicopatici di successo sono persone affascinanti, concentrate su loro stesse, disoneste, senza sensi di colpa e spietate, che vivono la loro vita evitando di stringere rapporti interpersonali profondi in quanto prive di capacità empatiche.
 
Il problema è che la crisi che stiamo vivendo, che nasce da un sistema finanziario lasciato a se stesso, ha fatto emergere proprio questi squali egocentrici e spregiudicati che nel mondo dell’economia e della finanza hanno trovato il proprio habitat naturale. Oggi dobbiamo ringraziare questi signori se siamo nelle condizioni attuali, e le nostre belle fette di prosciutto davanti agli occhi se li abbiamo ammirati e in un certo senso legittimati ad arrivare ai vertici delle principali società finanziarie e non.
 
Poiché queste peculiarità individuali hanno avuto buon peso nella genesi della crisi,  saperle riconoscere oggi diventa fondamentale per ogni organizzazione che vuole sopravvivere, perché possono rappresentare delle metastasi che ne minano l’esistenza dall’interno. Si pensi ad esempio al caso Parmalat, ovvero al crac di un’azienda potenzialmente solida per le manie di grandezza di un uomo, nonostante il disastro fosse ormai evidente. O al primario di una nota clinica milanese che operava solo per nutrire il proprio narcisismo, sulla pelle dei propri pazienti.
 
Certo, non c’era bisogno delle ricerche per sapere che gran parte dei capi d’azienda sono privi di empatia, perché chiunque abbia fatto un percorso in azienda prima o poi nella propria carriera qualcuno di questi lo ha incontrato.
 
Il problema è che in certi ambiti, con strutture verticali e maschiliste, è più facile che ci siano nei ruoli più alti figure con tratti patologici.
 
Forse allora bisogna ripensare l’organizzazione delle imprese, affinché si creino gli anticorpi per sopravvivere ai disastri che possono provocare certi individui. Magari premiando le persone non soltanto in base ai risultati economici, che sono il terreno di gioco di queste personalità, ma in base anche a parametri “più umani”, che però nel lungo periodo possono garantire maggiore stabilità all’organizzazione.
 
Se lo dice una che di mestiere fa la contabile……..
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