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Cum Grano Salis

Riflessioni di una Contabile su temi Economici e Finanziari di MONICA VITALI

PERCHE’ IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO E’ PIU’ SOSTENIBILE DI QUELLO CHE PENSIAMO

Debito pubblico italiano sostenibile

 

Il valore del debito pubblico in Italia a dicembre 2023 era pari a 2.863 miliardi di euro, cifra che in valore assoluto alla maggior parte di noi non dice niente.

Per comprendere l’entità del debito pubblico di un paese e valutarne la sostenibilità il debito pubblico viene messo in relazione al PIL, ovvero alla ricchezza interna lorda prodotta da una nazione.

Ebbene nel 2023 il debito pubblico italiano era pari al 137,3% del PIL, in discesa rispetto al 140,5% del 2022, anche grazie all’inflazione che lo ha automaticamente svalutato.

Se guardiamo la tabella del rapporto fra debito pubblico e PIL l’Italia è uno dei paesi peggiori al mondo, più o meno a seconda degli anni è nella quinta posizione.

Roba da far tremare i polsi e da fare alzare lo spread, che determina il tasso di interesse al quale prendiamo in prestito il denaro.

Ma se analizziamo il debito da altri punti di vista la faccenda non è poi così terribile.

 

IL PARAGONE CON GLI ALTRI PAESI

Se il rapporto debito pubblico/PIL fosse un indicatore infallibile e insindacabile alcuni paesi sarebbero falliti da tempo.

Ad esempio il Giappone, che sono anni che ha un rapporto debito/PIL superiore al 200%, o la Francia, che attualmente è al 112% come l’Italia nel 2011 quando fu trattata con molta severità dalle Istituzioni Europee.

Anche Stati Uniti e Cina non se la passano meglio. Si stima che nel 2028 il rapporto degli Stati Uniti debito/PIL sarà pari al 137,5%, più o meno quello previsto per l’Italia. Eppure il nostro rating rimarrà sicuramente più basso di quello degli Stati Uniti a parità di debito pubblico.

La Cina invece ha un enorme debito pubblico del quale quasi nessuno parla, e che per renderlo sostenibile deve continuare al crescere ad un ritmo che sta diventando complicato a causa del calo demografico e della crisi del mercato degli investimenti.

  

MA ALLORA PERCHE’ L’ITALIA PAGA DI PIU’ IL DEBITO RISPETTO AD ALTRI PAESI?

Se l’Italia “è trattata male” i motivi sono legati ad altri elementi di giudizio.

In primis la scarsa affidabilità del nostro paese, che deriva dalla breve durata di molti Governi, dai ritardi di alcune riforme e dalla pessima fama della nostra Pubblica Amministrazione.

Se la cattiva reputazione ha un ruolo così importante nel nostro spread sarebbe opportuno cercare di migliorare la comunicazione sulla nostra economia e sul nostro debito pubblico.

E non soltanto nei confronti degli investitori e della stampa esterna, ma anche e soprattutto nei confronti dei cittadini che vivono ogni giorno i problemi del nostro paese e che ne sentono continuamente parlare sui mezzi di informazione.

I cittadini non hanno la stessa consapevolezza di ciò che va bene in Italia perché nessuno ha veramente interesse ad informarli. Non per teorie complottiste o cospirazioni varie. Semplicemente perché il nostro cervello è programmato per concentrarsi sui pericoli, e fa molta più attenzione alle minacce piuttosto che alle cose che funzionano.  Se non fosse stato così ci saremmo estinti da tempo, sopraffatti da qualche predatore.

Questo meccanismo salvavita viene utilizzato a proprio vantaggio dai media, che hanno tutto l’interesse a parlare di ciò che non va bene per alimentare il proprio business. Ma anche i politici hanno tutto l’interesse a tenerci sotto scacco attraverso le nostre ansie per la alimentare la propria carriera politica.

 

QUALI SONO I PUNTI DI FORZA DELLA NOSTRA ECONOMIA?

Innanzitutto il nostro debito pubblico  nasce nel passato. E’ dal 1992 che l’Italia chiude il proprio bilancio PRIMA DEGLI INTERESSI in positivo. In pratica sono 30 anni che il nostro debito cresce solo a causa degli interessi generati dal debito precedente. 

Per il resto siamo andati in rosso solo nel 2009, dopo la crisi di Lehman Brothers, e nel periodo del Covid, ma molto meno degli altri paesi. Da questo punto di vista quindi siamo molto virtuosi, ma paghiamo il prezzo del “peccato originale”

Probabilmente non tutti hanno chiaro che:

  • siamo la seconda manifattura europea e la settima nel mondo;
  • siamo la seconda agricoltura d’Europa;
  • abbiamo il secondo più alto numero di pernottamenti di turisti stranieri in Europa;
  • abbiamo il quinto surplus manifatturiero al mondo;
  • siamo sempre stati creditori netti verso l’estero, ovvero vendiamo agli altri paesi più di quello che acquistiamo.

 

DI CHI E’ IL DEBITO PUBBLICO?

Un altro motivo per cui non siamo messi così male è che il nostro debito è finanziato circa per ¾ da investitori italiani. Soltanto il 27% circa è in mano a soggetti non residenti. Questa parte è quella maggiormente sensibile alla speculazione e alle variazioni dello spread.

Se guardiamo ad altri paesi dell’Unione Europea vediamo che la Francia è esposta verso soggetti esteri per il 46% e la Germania per il 42%. Eppure la loro sostenibilità non viene mai messa in discussione.

In buona sostanza sono le famiglie italiane a finanziare, direttamente o indirettamente, il debito pubblico italiano, sia tramite l’acquisto di Titoli di Stato sia tramite gli investimenti in banche, fondi e assicurazioni che poi acquistano Titoli di Stato.

Per questo motivo va tenuta monitorata la ricchezza privata in relazione al debito pubblico, più che il rapporto fra il debito e il PIL, perché è l’unica vera garanzia di sostenibilità.

Poiché la maggior parte degli interessi è pagata agli italiani gli interessi ricevuti aumentano la nostra ricchezza. La quota che paghiamo agli investitori esteri non è molto superiore a quella che pagano gli altri paesi, malgrado lo spread e l’alto debito pubblico ci penalizzi.

Quindi il debito pubblico è più sostenibile di quello che ci viene raccontato. Il problema è che  drena risorse che potrebbero essere investite nell’economia reale del paese aumentando la crescita che è rimasta bloccata da tempi immemorabili.

 

 Questo post è stato scritto prendendo spunto da alcuni articoli pubblicati Dott. Marco Fortis, economista, docente universitario ed editorialista de Il Sole 24 Ore.

 

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