ASCOLTA IL PODCAST A QUESTO LINK: La precisone come soft skill
Fra le soft skill che vengono più richieste nel mondo del lavoro una delle più significative è la precisione, cioè l’attitudine ad essere accurati, diligenti e attenti a ciò che si fa curando i particolari e i dettagli per arrivare al risultato finale.
Ci sono professioni, come quella contabile, dove la precisione è fondamentale perché i conti devono tornare alla perfezione e la partita doppia non ammette la squadratura nemmeno di un centesimo. Ma anche il lavoro dell’artista, ad esempio, pur basandosi sulla creatività richiede un elevato livello di accuratezza.
Ma la precisione è sempre un pregio? Ce ne parla Monica Vitali, esperta di contabilità, bilanci e controllo di gestione, nonchè blogger di temi economici e di attualità.
Assolutamente no. Va trovata una misura, che cambia in base alla situazione. L’importante è avere la consapevolezza delle ricadute sulle altre persone di una carenza o di un eccesso di precisione.
Oggigiorno andiamo tutti di fretta e capita sempre più spesso che i lavori, i compiti le incombenze non vengano svolti con la necessaria precisione. Sarà che ho la mentalità da contabile precisa e pignola, ma mi scoccio parecchio quando ho a che fare con persone pasticcione e improvvisate che mi fanno perdere un sacco di tempo.
Mentre io cerco di organizzare al massimo il tempo per me e per gli altri (e questo richiede un impegno da parte mia) dall’altra parte mi ritrovo spesso persone che non si comportano nello stesso modo e spesso devo pagarne lo scotto.
In che modo, ad esempio?
Per fare un esempio, l’impiegato di banca che si sbaglia a farmi firmare un documento e che mi costringe a ritornare nel suo ufficio; o l’addetto della scuola calcio che si sbaglia a mettere i pezzi della nuova divisa dentro il borsone costringendo i genitori a passare due volte a ritirali. Per non parlare degli artigiani che restituiscono un lavoro commissionato con qualche falla e devono aggiustarlo più volte, fino a quando si arriva a minacciare di non pagarli per avere un lavoro decente.
In ogni caso ho sempre la sensazione che le cose debbano essere fatte due volte a causa della fretta delle altre persone. Mi sembra che la maggior parte delle persone abbia perso il senso del lavoro ben fatto, curato, che dia soddisfazione a sé e agli altri.
Questo ci espone tutti al rischio di imbattersi in dei pasticcioni, o in fondo, potenzialmente, lo siamo un po’ tutti?
I casi che capitano a ciascuno di noi sono talmente tanti che la colpa non può essere solo del singolo, bensì di un sistema che a mio avviso non funziona e che ha perso il senso della misura.
Siamo sempre tutti talmente di corsa, tirati, facciamo mille cose e per fare girare tutto bene ci vogliono delle caratteristiche che pochi veramente possiedono, compresa la capacità di non perdere la calma e di essere sempre lucidi e organizzati.
Entriamo adesso nel tema della precisione sul posto di lavoro: come viene valutata, normalmente, da colleghi e capoufficio?
La precisione normalmente viene valutata positivamente nel luogo di lavoro. La persona meticolosa, accurata attenta ai dettagli, riesce a raggiungere risultati eccellenti mettendo anche i colleghi nella situazione di lavorare al meglio senza intoppi e con serenità.
Invece il collega che cancella o butta via documenti importanti per errore, sbaglia i calcoli, non archivia correttamente i documenti costringe gli altri a fare un doppio lavoro inutile.
Nel mio lavoro la precisione conta moltissimo, è una delle caratteristiche essenziali. In alcuni casi deve essere addirittura maniacale, ma con dei limiti. Ci sono delle circostanze in cui per motivi di tempo o di opportunità è necessario velocizzare i ritmi a scapito della precisione. Purtroppo mi accorgo che chi è abituato a “spaccare il capello” deve farsi violenza per “darci un taglio”. E spesso mi domando se, dovendo scegliere, è meglio un collaboratore più veloce ma a rischio di imprecisione o un collaboratore precisissimo ma troppo lento.
Per quel che riguarda invece il controllo di gestione, a volte è più semplice addentrarsi sul dettaglio inutile piuttosto che avere una visione di insieme che ci faccia capire sino a dove ha senso spingersi.
Quando la precisione diventa una gabbia è un problema anche per i colleghi perché devono subire una mancanza di elasticità che può far allungare i tempi lavorativi inutilmente.
C’è un modo, una tecnica, per gestire queste situazioni?
Per me stessa cerco di applicare quella che chiamo “la regola del 90%” ovvero posso arrivare a sacrificare sino ad un 10% di precisione se le circostanze lo richiedono. Poi questa percentuale può essere di più di meno, ma indicativamente penso che il 10% sia una buona percentuale di tolleranza all’imprecisione.
Quale può essere la prospettiva?
Stiamo andando verso una società sempre più automatizzata, dove la tecnologia e i robot sostituiranno sempre di più il lavoro umano, lasciandoci teoricamente più tempo per fare le cose e per curarle meglio. Però c’è il rischio che saremo in meno a farle, e a quelli che rimarranno verrà chiesto sempre di più, come è stato fino ad ora. Oppure che i compiti si moltiplichino (tanto c’à la macchina che fa per noi), costringendoci ad un lavoro di supervisione e di gestione doppio.
Quando si ha l’imprinting della fretta non si riescono più a fare le cose bene e con calma anche quando se ne avrebbe il tempo. Quindi non si può sperare nella “redenzione” al momento della pensione perché saremo talmente tanto abituati a correre che continueremo a farlo.
Quali sono le implicazioni dal punto di vista economico?
Non c’è dubbio che a livello di azienda e a livello di sistema paese se giriamo tutti a vuoto come delle trottole gli sprechi e le inefficienze sono elevatissimi. Allora forse avrebbe più senso fare tutti meno cose e con più calma, magari pagate meglio da parte di chi riceve il bene o il servizio, ma senza tutto questo “frullo” che ci porta solo alla nevrosi.
Dunque, precisione sì, ma con una buona quota di tolleranza all’imprecisione, per evitare che una virtù diventi di fatto un limite.
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